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Così Carrère raccontò l'omicidio che nasce dalla menzogna Il precedente

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È molto difficile capire cosa accade nella mente di un assassino. Soprattutto quando il suo crimine nasce da un incredibile, e ormai ingestibile, castello di bugie. Il 9 gennaio 1993 Jean-Claude Romand, nel piccolo paesino francese di Prévessin-Moëns, uccise la moglie, i figli e i genitori, poi tentò di suicidarsi, ma invano. L'inchiesta rivelò che non era affatto un medico come sosteneva e, cosa ancor più difficile da credere, che non era nient'altro. Da diciott'anni mentiva, e accumulava debiti. Sul punto di essere scoperto, preferì sopprimere le persone di cui non sarebbe riuscito a sopportare lo sguardo. È stato condannato all'ergastolo. LO scrittore e sceneggiatore Emmanuel Carrère è entrato in contatto con lui e ha assistito al processo. Ha cercato di carpire i segreti di quella vita di solitudine, di impostura e di assenza. Di immaginare che cosa passasse per la testa di quell'uomo durante le lunghe ore vuote, senza progetti e senza testimoni, che tutti presumevano trascorresse al lavoro, e che passava invece nel parcheggio di un'autostrada o nei boschi del Giura. Il risultato è stato il bellissimo libro L'avversario, quest'anno ripubblicato da Adelphi (pagg. 170, euro 17) da cui è stato tratto anche l'omonimo film diretto da Nicole Garcia presentato in concorso al 55º Festival di Cannes.


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